Salvatore Salvemini, pittore e insegnante di storia dell’arte, ha lasciato un patrimonio figurativo emblematico.
Agli inizi sono pescatori, contadini, madri proletarie sedute davanti all’uscio di casa, paesaggi della campagna meridionale i protagonisti delle sue tele e delle sue numerose incisioni, al cui centro c’è il paesaggio visivo con l’uomo e il suo tempo, la sua condizione di origine contadina e il suo disagio quotidiano.
Si propone pian piano di eliminare dall’arte pittorica il provincialismo dei luoghi comuni, in cui non si parla più di trulli ed ulivi, ma la pittura diventa materia di ricerca civile, in primo piano la lotta operaia e le battaglie ecologiche. Dopo questa esperienza Salvatore Salvemini continua la sua ricerca incentrata su una pittura sociale e di denuncia che va oltre i confini nazionali. Ma già in alcune opere della fine degli anni Sessanta incomincia ad avvertire, come lo stesso Salvemini spiega, la percezione che “alcune certezze sono andate in fumo”, per cui “la protesta prende una piega diversa, si fa più intimista, più sommessa”.